Gli autori la definiscono “loss of complexity hypothesis”, ovvero ipotesi della perdita di complessità.
Nell’articolo “TUTTE LE STRADE PORTANO A ROMA” abbiamo definito la “Variabilità Funzionale” come una caratteristica fondamentale del comportamento umano.
Questa caratteristica è stato scoperto essere molto legata agli infortuni negli atleti, e di seguito nell’articolo cercheremo di comprendere come e perché.
LE STRUTTURE COORDINATIVE
Come ci spiega N.Bernstein i movimenti fluidi dell’organismo umano, diretti ad un obiettivo, richiedono l’integrazione e la coordinazione dei molteplici gradi di libertà in unità funzionali, su differenti scale spazio-temporali (unità motoria, muscoli, articolazioni/segmenti corporei, ecc). È necessario per l’organismo creare queste unità funzionali a causa della ridondanza dei gradi di libertà. Ridondanza che, tornando alle definizioni di Bernstein, è proprio quella componente che consente la soluzione di diversi compiti attraverso strategie differenti purché il sistema (l’atleta) riesca ad “assemblare” tra loro correttamente le diverse componenti, formando quelle che lo stesso autore russo definiva le “strutture coordinative”.
I sistemi funzionali che sono stabili ed adattabili utilizzano tutti i propri gradi di libertà efficientemente per ottimizzare la performance” (Latash ML et al., 2002)
Secondo Bernstein una delle componenti più importanti da analizzare in un comportamento motorio è proprio la variabilità, poiché consente di misurare la varietà delle strategie attraverso le quali il sistema riesce a realizzare il proprio pattern di movimento.
QUALE TIPO DI VARIABILITÀ?
La visione tradizionale della variabilità si basa sul concetto di variabilità “end-point”, ovvero relativa al prodotto del movimento (esempio: lunghezza del passo, o tempo del passo) e questa dovrebbe essere minore in un individuo sano e maggiore in uno meno sano. Cioè atleti di alto livello hanno meno variabilità di quelli di basso livello, ed atleti sani presentano meno variabilità di atleti con problematiche.
Questa però non è l’unica variabilità osservabile nel comportamento umano, poiché esiste una variabilità anche a livello microscopico legata invece alle modalità di utilizzo ed integrazione dei segmenti corporei al fine di ottenere quel prodotto di movimento.
È ormai chiaro come la stabilità nella performance (bassa variabilità a livello macroscopico) si ottenga grazie ad un’alta variabilità a livello delle relazioni coordinative che supportano la performance” (N.Bernsetin , 1967)
In molte ricerche relative alla biomeccanica ed al controllo motorio la variabilità è tradizionalmente equiparata al “rumore”, considerata negativa per la performance del sistema. Ma è un’altra variabilità ad essere invece importante per la formazione di pattern di movimento, e questa variabilità emerge da componenti non lineari, dinamiche, che caratterizzano il nostro come un sistema complesso ed adattivo.
VARIABILITÁ ED INFORTUNI DA SOVRACCARICO
Sono davvero molte le ricerche nelle scienze fisiche e biologiche che negli ultimi anni hanno investigato gli aspetti benefici ed adattivi della variabilità nei sistemi funzionali. In una review del 2011, “Coordinative variability and overuse injury” di Joseph Hamill e altri autori, si pone l’attenzione sulla relazione tra variabilità ed infortuni da sovraccarico.
In questa review si evince come il percorso verso un infortunio sia caratterizzato dalla perdita di variabilità nelle componenti fondamentali che riflettono la funzione biologica. Gli autori la definiscono perdita di complessità. La relazione tra perdita di variabilità e perdita di complessità ha a che fare con la riduzione nei diversi gradi di libertà che consentono i vari modelli di movimento. La riduzione dei gradi di libertà comporta una perdita di variabilità nelle diverse componenti interagenti nel controllo del sistema. Quando queste riduzioni nei gradi di libertà raggiungono un certo limite, esiste la possibilità concreta che emerga un infortunio. (Vedi l’immagine sottostante)
Secondo gli autori la diminuzione di variabilità coordinativa causa un eccesso di forze che agiscono sulle medesime strutture probabilmente provocando infortuni da sovraccarico. Al contrario quando un atleta si muove con un alto grado di variabilità riesce a distribuire i carichi su diverse articolazioni e su diversi tessuti, minimizzando il rischio di sovraccarico disfunzionale.
L’ipotesi di perdita di complessità suggerisce che una mancanza di variabilità possa essere una caratteristica di disfunzione nella performance” (Lipsitz 2002)
LA FINESTRA DI VARIABILITÀ FUNZIONALE
La review evidenzia due studi importanti (Seay JF et al., 2011; Stefanyshyn DJ et al. 2006) uno relativo al dolore al ginocchio ed un altro relativo al dolore alla bassa schiena, in cui si evince una caratteristica molto interessante della variabilità. Gli atleti che non presentavano nessun dolore (che non avevano mai avuto problemi di quel tipo) mostravano, durante la corsa, un grado di variabilità maggiore di quelli che invece provavano dolore. Inoltre, il gruppo di atleti che stava recuperando da quell’infortunio (non aveva dolore ma lo aveva avuto in passato) presentava un livello di variabilità intermedio.
Questa ridotta variabilità degli atleti che non avevano dolore ma che erano reduci da quel tipo di problematica potrebbe nuovamente incrementare lo stress su quella specifica zona e di conseguenza riportare il sistema verso la disfunzione, creando il classico circolo vizioso dell’infortunio da sovraccarico.
Non solo un basso grado di variabilità è stato verificato essere un indice di probabilità di infortunio, ma anche un eccessivo livello di variabilità sembra costituire un fattore di rischio. Sembrerebbe esistere una finestra ottimale di variabilità, come mostrato nelle figura qui sotto, entro la quale l’atleta possa trarre tutti i benefici possibili per costruire un movimento fluido, organizzato ed adattabile a seconda della situazione, ottimizzando la performance e mantenendo lo stato di salute delle varie strutture.
RECUPERARE LA VARIABILITÀ
Ecco che allora una riflessione va fatta in termini di allenamento, nel percorso fondamentale di ritorno all’attività dopo un infortunio.
È ormai nota a tutti l’importanza del periodo finale della ri-atletizzazione in cui il giocatore ritorna alla normale attività di squadra. Allenarlo a recuperare la variabilità significa porlo gradualmente nella complessità del gioco, fornendo stimoli gradualmente sempre più caotici ai quali le sue strutture dovranno progressivamente ri-adattarsi.
Porre all’interno di un contesto cosi variabile ed imprevedibile come sono gli sport di squadra, un giocatore che ha perso complessità in seguito ad un infortunio significa alzare notevolmente il rischio che le sue strutture coordinative non siano in grado di rispondere perfettamente alle richieste della prestazione, alzando di conseguenza il rischio che un ulteriore infortunio possa presentarsi.