RAGIONE O TORT(U)?

17 ottobre 2022 – Filippo Tortu, atleta italiano campione olimpico di velocità, intervistato nella trasmissione Sky Calcio Club da Fabio Caressa (clicca qui per ascoltarla), rilascia alcune dichiarazioni che hanno “scosso” l’ambiente calcistico, soprattutto quello dei preparatori atletici. 

Riassumendo i concetti espressi all’interno dell’intervista, si può affermare che il centometrista milanese ritenga che i calciatori “corrano male” ad alta velocità, e che questa scarsa tecnica di corsa oltre che impedirgli di correre più velocemente, li esponga anche ad un rischio elevato di infortuni. 

Nei giorni successivi si è assistito ad un vero e proprio “attacco” social all’interno di gruppi di preparatori atletici che lavorano nel calcio, in cui l’accusa principale rivolta alle affermazioni di Tortu si riferiva alle differenze che ci sono tra il modo di correre del calciatore e del velocista. Cosa ne sa Tortu di come si deve correre nel calcio? Ma lo sa Tortu che nel calcio si corre diversamente rispetto all’atletica perché le richieste sono diverse? Queste, più o meno, le critiche rivolte alle sue affermazioni. 

L’argomento della velocità nel calcio è forse quello che negli ultimi anni ha catturato di più la mia attenzione e i miei approfondimenti e quindi, per quanto sia sicuramente riduttivo e complicato provare a farlo all’interno di un semplice articolo, non potevo esimermi dall’esprimere un mio parere in merito a questa discussione. 

NEL CALCIO SI VA AD ALTA VELOCITÀ?

Il calciatore è un atleta che per la maggior parte del tempo deve esprimere alta intensità su distanze brevi e che di conseguenza è chiamato maggiormente ad accelerare, decelerare e cambiare direzione. Il campo da calcio è grande ma le squadre per il 70-80% del tempo di gioco si trovano a giocare in uno spazio di circa 30x30m che di fatto non consente l’espressione di alte velocità. 

Durante il gioco però si creano dei momenti in cui gli spazi “si aprono” e consentono l’espressione di alte e/o altissime velocità. Ricerche internazionali in merito a questo argomento ci danno principalmente due informazioni: da un lato le altissime velocità sono in continuo aumento, il calcio sta diventando uno sport con richieste sempre maggiori di sprint, e dall’altro questi momenti, pur non essendo come detto estremamente frequenti durante il gioco, sono però spesso decisivi. Più della metà dei gol e degli assist sono preceduti ad un’azione ad alta velocità. 

Ovviamente ci sono ruoli più esposti di altri a questa tipologia di azioni, attaccanti e centrocampisti esterni sono quelli che realizzano il maggior numero di sprint, sicuramente in numero maggiore rispetto a difensori e centrocampisti centrali. 

LA VELOCITÀ DEL CALCIATORE

Ora le principali considerazioni da fare in merito sono a mio avviso due. E una non esclude l’altra. La prima è che il calciatore deve esprimere velocità in un contesto molto diverso da quello del centometrista. Di fatto la velocità per il calciatore è un mezzo attraverso il quale tenta di raggiungere diversi scopi del gioco. Per il velocista invece la velocità è lo scopo stesso della gara. 

La seconda è che il calciatore, mediamente, è poco abile ad andare ad alta velocità. E questo si verifica per due motivi, uno intrinseco al gioco, e uno come conseguenza del metodo di allenamento. 

Il gioco, come abbiamo detto, espone “poco” il calciatore alle alte velocità e questa bassa esposizione di fatto impedisce un grande miglioramento (al contrario spesso il calciatore è molto abile nell’accelerare e nel cambiare direzione, proprio perché la disciplina stessa è allenante da questo punto di vista). Oltre a ciò succede che nella stragrande maggioranza dei casi (sopratutto nei settori giovanili) ci si allena in spazi ridotti, molto più ridotti di quelli della partita, e questo metodologicamente parlando è riduttivo e rende l’allenamento incompleto accentuando questa lacuna del calciatore. Oltretutto “a secco” non si allena praticamente mai l’abilità di andare ad alta velocità.  

CONTENUTO “E” (NON “O”) CONTESTO

Partiamo da due punti fermi sui quali tentare di costruire un processo metodologico valido. 

Primo: il calciatore ogni tanto (non spesso e l’abbiamo già detto) deve esprimere alta velocità, più o meno lineare. Quindi deve essere preparato per queste situazioni. Secondo: il calciatore nella maggior parte dei casi si infortuna muscolarmente durante le attività ad alta velocità, quasi sempre alla catena posteriore (bicipite femorale). E questo si può giustificare anche e soprattutto a causa della scarsa abilità ad esprimere “correttamente” alte velocità. 

Filippo Tortu dice “il calciatore per la maggior parte delle volte corre senza palla” alludendo, credo, al fatto che possa quindi assomigliare a quanto debba fare lui quando gareggia. Attenzione però perché se è vero che molto spesso la palla non c’è nei piedi del calciatore, le richieste di sprint che si verificano durante il gioco sono tutte all’interno di un contesto in cui chi sprinta deve adattarsi, anticipare, reagire, leggere in continuazione spazi, posizioni, opportunità e prendere decisioni rapidamente. Questo significa che il “contesto” è determinante e non può essere escluso dall’allenamento, facendo finta che non influenzi i comportamenti. Il calciatore ha bisogno della realtà del gioco per allenarsi perché gli apprendimenti più consistenti si costruiscono nel gioco (e all’interno di questo blog abbiamo più volte sottolineato l’importanza degli aspetti rappresentativi dell’allenamento per alzare la trasferibilità degli apprendimenti). 

Ma questo NON esclude l’importanza del contenuto. Se un calciatore corre male (ipotizziamo che non alzi il ginocchio nella fase di volo ad alta velocità, concetto ribadito dallo stesso Tortu nell’intervista) è impensabile che possa migliorare questo aspetto della corsa durante il gioco, all’interno delle situazioni reali. Perché? Perché nel contesto, sotto pressione, il calciatore (chiunque non solo lui) si rifugia nelle cose che conosce, non sperimenta un nuovo modo di correre. E allora continuerà a correre come sa. Questo cosa comporta? Probabilmente correrà un pò meno veloce di quanto potenzialmente sarebbe in grado di fare (e questo potrebbe essere il problema minore perché di fatto parliamo di sport di situazione in cui una grande abilità di lettura potrebbe, ma non è detto che lo faccia, sopperire a questa mancanza atletica) ma soprattutto, sarà più a rischio di infortuni, perché questa scarsa tecnica di corsa ad alta velocità sottopone la muscolatura posteriore ad uno stress maggiore. 

L’immagine sottostante (figura 1) rappresenta secondo me molto bene il rapporto che dovrebbe esserci tra contenuto e contesto. Un rapporto circolare (non lineare o, ancora peggio, separato) in cui un giocatore può entrare o uscire dalla complessità del gioco sulla base delle proprie necessità, a seconda dell’obiettivo che si prefigge l’allenatore ed in base all’efficacia e l’efficienza con la quale riesce a risolvere il compito. 

Figura 1. Immagine tratta da: High-Performance Training for Sports 2edition- J.B.Morin-S.McMillan 2022

APPRENDI LE REGOLE PRIMA DI ROMPERLE

Questa è la traduzione di una frase di Stuart McMillan, esperto internazionale di velocità nel mondo dello sport, che si riferisce alla necessità del calciatore, del rugbista, del giocatore di football americano di “apprendere le regole” dello sprint come supporto dell’apprendimento contestuale, nel quale dovrà imparare a “romperle” per adattarsi all’ambiente in cui dovrà sviluppare la propria prestazione. La stessa figura 1 infatti riporta in basso la dicitura “learn” (apprendi) e “break” (rompi) riferendosi appunto alle regole dello sprint. Perché sprintare ha delle regole, ovvero dei punti fermi che determinano la possibilità di andare più veloci. In un movimento cosi complesso in cui al sistema è richiesto di esprimere grandi livelli di forza in pochissimo tempo l’atleta non ha molte possibilità di “interpretare” queste richieste a proprio piacimento (si legga l’articolo “esistono più modi di ballare il valzer che di sprintare”) e di conseguenza deve saper fare alcune cose che gli consentono di andare forte. 

Cosa significa “rompere” le regole? Significa adattare gli apprendimenti alle richieste dello sport.  Facciamo l’esempio della posizione della testa. Nello sprint lineare “a secco”, quello di Tortu, la testa deve mantenere una posizione neutra, “allineata” con il busto, per evitare oscillazioni che farebbero disperdere energie e rallentare il sistema. Ma per il calciatore? Imparare a ruotare la testa durante lo sprint prendendo tutte le informazioni necessarie dall’ambiente circostante diventa invece un requisito fondamentale che risponde alle richieste del contesto. Ecco questo significa rompere una regola. 

Costruire però, al contrario, un adattamento senza regole significa non fornire al giocatore ancoraggi sui quali appoggiarsi per migliorare una gestualità che ha delle caratteristiche ben definite, quasi imprescindibili per andare veloci in “sicurezza”. 

Figura 2. Immagine tratta da: Need For Speed Course - ALTIS FOUNDATION, 2020

THE FORCE COMES FROM THE MOTION

Sono diversi gli aspetti sui quali il calciatore si può definire “mediamente” più scarso del velocista ad esprimere alta velocità lineare. La fase di swing (cosi definito il percorso che fa la gamba in volo durante la corsa) è molto più posteriore che anteriore rispetto al centro di massa e questo, ritardando il richiamo rapido della gamba in avanti, impedisce di conseguenza che il ginocchio salga in maniera decisa all’inizio della fase di volo successiva (immagine n.2). Questo fattore impedisce di esprimere grande forza verticale all’impatto con il terreno. Questo impatto più “soft” è un altro fattore che identifica la scarsa abilità del calciatore, che si differenzia rispetto al velocista proprio in questa non capacità di imprimere al terreno un elevato impulso di forza verticale nella prima fase del contatto con il terreno. (L’immagine numero 3 mostra la differenza dell’impulso di forza espresso dal velocista rispetto al calciatore). “The Force comes from the motion” dicono gli americani, “la forza nasce dal movimento”, ovvero il modo che abbiamo di muoverci determina quanta forza riusciamo a sviluppare. Non è (solo) questione di “quanta” forza ma anche e soprattutto di “come” siamo in grado di esprimerla.

Figura 3. Immagine tratta da: Need For Speed Course - ALTIS FOUNDATION, 2020

DIFFICILE NON SIGNIFICA INUTILE

Siamo sicuri che allenando questi aspetti fuori dal contesto, quindi “a secco”, ci consenta poi di vederli trasferiti all’interno del gioco? No. Non ne possiamo essere certi. L’unica cosa di cui però possiamo essere certi è che nel contesto non li miglioreranno. Se un atleta corre “male” a secco, lo farà anche nel gioco. L’unica strada che possiamo tentare di percorrere è quella di identificare queste problematiche e cercare di correggerle qualora sia evidente che siano impattanti sia sulla performance che sulla salute. 

Esistono una serie di difficoltà logistiche che rendono questo processo complicato, molto complicato. Perché allenare 20 giocatori non è come allenarne uno. E allenare nello sport di situazione riduce i tempi a disposizione per allenare individualmente l’atleta, quindi oltre ad essere molto difficile porre attenzioni individuali, si ha anche pochissimo tempo. 

Ma il fatto che una cosa sia complicata non significa che non sia da fare. Io credo che una delle sfide del nostro ruolo all’interno di uno sport complesso come il calcio sia quello di provare ad incidere anche su questi aspetti, condividendo con tutte le altre figure dello staff un progetto comune che abbia come obiettivo finale lo sviluppo massimo delle potenzialità dell’atleta. Soprattutto all’interno di un percorso di settore giovanile. 

LA SPECIFICITÀ

Resto convinto della grande importanza della specificità per lo sviluppo degli apprendimenti, ma questa convinzione credo non ci debba far cadere nell’errore di considerare il gioco come panacea di tutti i mali. 

La specificità è una risorsa nel momento in cui si sfrutta per ottimizzare il processo di apprendimento, diventa un grande ostacolo quando non ci si accorge dei limiti in cui può imprigionare il massimo sviluppo del potenziale motorio di un atleta.  

Quindi Ragione o Tortu? Di certo la discussione è molto più complessa di quanto si possa sviluppare seduti al tavolo del Club di Sky, ma personalmente credo che lo spunto del velocista italiano possa, se contestualizzato correttamente, esserci d’aiuto per provare a migliorare quanto proponiamo nel nostro mondo, sicuramente molto diverso ma non per questo da escludere a priori.

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